
Ho trascorso un po’ troppo tempo qui negli ultimi 3 giorni (NdR: Gethin scrive dall’aeroporto di Fiumicino. A causa degli incendi a Palermo e del successivo sciopero dei controllori di volo, Gethin è rimasto bloccato due giorni all’aeroporto di Roma) ma ne è valsa la pena per aver avuto il privilegio di essere parte ieri del Palermo Pride. Su un’isola con una popolazione che è un po’ meno della metà di quella di Londra, una bellissima isola circondata da onde, pesci e uccelli marini, 50.000 persone hanno marciato attraverso la città di Palermo – senza la necessità di sponsor che sostenessero lo sforzo economico. Non ci sono stati banchieri a farsi pubblicità, non ci sono stati trafficanti d’armi a distrarre l’attenzione dai morti di cui sono responsabili dipingendosi addosso uno strato sottilissimo di rosa politicamente corretto.

Solo 50.000 ribelli, queer e loro alleati, per fare sapere al mondo intero che rifugiati e migranti sono solo persone esattamente come noi, alcuni di loro sono queer, altri alleati, ma soprattutto tutti coloro condividono con noi molto di più di ciò che ci divide. Ho avuto il privilegio di poter fare il discorso di chiusura della parata del Palermo Pride, di poter parlare di quello che abbiamo in comune, di parlare di quando il movimento iniziò oltre 30 anni fa quando eravamo insultati, trattati come una malattia, un contagio, una minaccia, trattati come altro. Ho potuto parlare per dire che molti di noi quel mondo hanno lottato per cambiarlo, l’abbiamo cambiato una volta e continuiamo a cambiarlo – nonostante gli orrori di Orlando – in meglio.